I Patti Gener-Attivi per l’Autonomia sono l’azione di FareLegami espressamente dedicata al tema del lavoro e per un target di persone tra i 19 e i 39 anni in stato di inoccupazione o disoccupazione (o a rischio di disoccupazione) e beneficiarie, singolarmente o come nucleo familiare, di uno o più interventi socio-assistenziali.

Questo target è l’immagine della vulnerabilità, situazione dagli sfaccettati aspetti che richiede, di conseguenza, di essere affrontata in modo integrato. Lo strumento attivato da FareLegami è un vero e proprio contratto di reciproco impegno, sottoscritto tra la persona in difficoltà e un ente partner del progetto. Le principali strategie scelte per affrontare le specifiche esigenze sono:

  • l’integrazione dei servizi – in particolare i servizi sociali e i servizi per il lavoro pubblici – con la creazione e la formazione di mini equipe integrate ed un investimento in attività trasversali quali i monitoraggio, il coordinamento e la valutazione.
  • la riattivazione delle persone vulnerabili, in collaborazione con enti del mondo del lavoro e imprese profit e non profit, attraverso l’investimento in percorsi di empowerment per il rafforzamento delle proprie capacità e in percorsi per mettersi in proprio di supporto a nuove idee di imprenditoriali. A supporto della riattivazione, spesso anche lo stanziamento di un budget personale di welfaredi 2.000 € a sostegno di precise azioni previste dal patto personalizzato.
  • attivazione del e nel contesto comunitario a sostegno e protezione dei percorsi attraverso l’introduzione di azioni generative, grazie alle quali i beneficiari restituiscono il gesto di solidarietà in attività utili alla propria comunità.

Ma quale successo ha avuto questa sperimentazione rispetto ai suoi obiettivi principali?

Al termine di tre anni di sperimentazione le parole dei protagonisti ci raccontano le tre lezioni da imparare dai Patti per l’Autonomia per un futuro di migliori interventi sociali.

LEZIONE #1: LA RI-ATTIVAZIONE DELLE PERSONE IN SITUAZIONE DI VULNERABILITA’ E’ POSSIBILE… ma LA MOTIVAZIONE VA COLTIVATA.

Rimotivare persone in situazione di vulnerabilità lavorativa è possibile: la prima affermazione di questa conclusione viene dai percorsi di empowerment,una delle attività utilizzate nei Patti Gener-Attivi; attività da più di 550 h di formazione tra incontri di gruppo e counselling individuale, che ha visto 200 beneficiari – di cui l’89% ha terminato tutto il percorso formativo – e al termine dei quali sono stati attivati 160 tra progetti formativi e professionali individuali.
Il 97% dei beneficiari, a conclusione del percorso di empowerment, ha dichiarato un aumento significativo del grado di consapevolezza relativa alle proprie competenze, motivazioni, capacità utili all’accesso al mondo del lavoro.

Un approccio integrato all’intervento sociale che preveda l’investimento in tale rimotivazione è un approccio che può essere vincente. Anche gli operatori coinvolti nella sperimentazione concordano – nella valutazione complessiva dei PGA – con questa visione positiva circa l’efficacia della riattivazione: gli obiettivi sia sociali che lavorativo/professionali sono considerati raggiunti pienamente o in parte in più dell’80% dei percorsi avviati e le micro equipe valutano i risultati come “positivi” nel 62% dei casi e “in parte positivi” nel 19% dei casi.  Il 78% dei beneficiari ha avuto almeno un’esperienza lavorativa (contratto di lavoro oppure tirocinio di inserimento lavorativo) nel corso del progetto e il 37,5% dei beneficiari PGA è oggi titolare di un rapporto di lavoro (per lo più a termine).

Ma quanto aiuta un PGA rispetto alle prassi ordinarie? Questo il vero test della sperimentazione: gli operatori rispondono che, il patto ha apportato maggiore aiuto nel 95% dei casi, di cui “molto” in un quarto dei casi e “abbastanza” per un altro 70%. Questo maggiore risultato viene ascritto alla rivitalizzazione delle capacità della persona coinvolta, in grado di applicare un effetto moltiplicatore agli aiuti forniti.

 

La motivazione, la voglia di riscattarsi, di non abbandonarsi ad atteggiamenti passivi, assistenzialistici è un ingrediente fondamentale per la riuscita dell’intervento ma non può essere data per scontata bensì occorre cercarla, supportarla e stimolarla.
Le capacità delle persone sono state valorizzate mettendole a frutto a favore di sé e degli altri, perché sono state riconosciute,
rafforzate da empowerment, budget di welfare, azione generativa.
Questa impresa resta più difficile con i casi ”cronici”e quelli nei quali il contesto di vita è problematico.

LEZIONE #2: LA GENERATIVITA’ RAFFORZA IL SUCCESSO DELL’INTERVENTO AL DI LA’ DEGLI EFFETTI                   SULL’IMPIEGABILITA’ IMMEDIATA.

La proposta di impegnarsi in un’azione a favore della comunità, come forma di contraccambio per la solidarietà ricevuta, è stata perlopiù ben accolta dalle persone coinvolte. In 8 casi su 10 l’azione generativa è stata realizzata per una media di 36 ore di servizio a persona e nel 75% dei casi non sono emersi problemi. Nel 17% dei casi l’impegno assunto dalla persona è stato rispettato “completamente” e in un altro 71% dei casi è stato “molto”rispettato.

Uno degli elementi concorrenti all’accrescimento della motivazione delle persone presa in considerazione nel punto precedente è la sensazione di riconoscimento e apprezzamento da parte della comunità. Da questo punto di vista, l’azione generativa è stata un coadiuvante importante all’intervento di sostegno. Grazie alle relazioni instaurate, al riconosciuto impegno e all’apprezzamento per le qualità personali portate dai beneficiari del patto nel lavoro comunitario, essa sembra aver raggiunto l’obiettivo di creare intorno alla vulnerabilità della persona, una rete di sostegno, di motivazione e di autostima.

A testimonianza di questo, 8 persone su 10 che hanno realizzato l’azione generativa si sono dette molto/completamente soddisfatte e 7 su 10 ripeterebbero l’esperienza: vi sono casi in cui, grazie a queste relazioni le persone hanno trovato la possibilità di piccoli impieghi o l’accesso a servizi per sé o per la famiglia. Quasi un terzo dei coinvolti ha continuato l’attività anche oltre i termini previsti dal patto.

 

LEZIONE #3: L’INTEGRAZIONE FRA SERVIZI E’ LO STRUMENTO PIÚ IMPORTANTE PER AUMENTARE L’EFFICACIA DELL’INTERVENTO… MA DEVE ESSERE CONCRETIZZATA A TUTTI I LIVELLI.

L’aspetto dell’integrazione – quella professionale fra i servizi e quella comunitaria attraverso i Community Maker e le organizzazioni coinvolte nei Laboratori di Comunità – è ciò che gli operatori  maggiormente preferirebbero mantenere fra le novità introdotte dai PGA, perché riconosciuto come il singolo elemento più influente per una buona riuscita dell’intervento, in termini di effetti efficaci e duraturi.

L’integrazione non è mai vista come fine a sé stessa ma come strumentale a una migliore presa in carico quando, come nel caso della vulnerabilità, i problemi della persona non si limitano a una sola dimensione. Prevede di superare l’approccio per interventi specializzati a favore di una visione della persona nella sua interezza:  valore fondante la centralità della persona, dei suoi bisogni e delle sue capacità.

Essa è anche riconosciuta come uno degli elementi più complessi da realizzare. Dopo due anni di lavoro, il 35% degli operatori coinvolti afferma che il livello di integrazione del lavoro sia cambiato “poco”, il 50% che sia cambiato “abbastanza” e solo il 15% che lo abbia fatto “molto”. Dalle parole di alcuni operatori, la presa in carico condivisa, è “… molto spesso difficile da concretizzare, se non tramite progetti che la prevedono espressamente”. Creare un’equipe condivisa, prendersi il tempo per attività quali il monitoraggio, il coordinamento e la valutazione, sono aspetti trasversali per i quali è difficile fare spazio se non deliberatamente inscritti nelle procedure.

 

Nel PGA è stato avviato il processo di integrazione tra servizi sociali e servizi per il lavoro (e tra servizi e comunità)
dimostrando la fattibilità e i risultati, ma non basta.  L’integrazione si articola su più livelli:
istituzionale, gestionale, professionale, comunitario. Non si mantiene nel tempo se viene sviluppato solo uno o alcuni di questi livelli.
Realizzati nei PGA quello professionale e comunitario,  occorre insistere anche su quello gestionale e istituzionale.

In conclusione:

Il modello PGA è replicabile a condizione che si investa: sulle professionalità dei servizi pubblici sull’integrazione istituzionale e gestionale dei servizi sulle politiche attive sulle capacità e le motivazioni delle persone e della comunità

 

Il servizio sociale mi ha pagato in parte il corso di OS, in parte il corso per la patente in autoscuola, mi ha aiutato con le bollette, l’affitto e con il nido e quindi sono stata contenta di fare volontariato anche per ricambiare dell’aiuto che mi è stato dato. Il fatto di rispondere a due persone, assistente sociale e Centro per l’impiego, non mi è pesato, non è stato un problema perché finché c’è davanti qualcosa da raggiungere, nel mio caso il lavoro da trovare, non puoi essere stanco, devi mettercela tutta, devi avere un senso del dovere e continuare a cercare.

(Intervista a C. 32 anni, PGA Cremona -a cura di G. Spreafico)